LA STORIA

Il materiale documentario relativo ai secoli XII, XIII e XIV, conservato presso l’Archivio Storico Comunale di Fabriano, consente una ricostruzione parziale e frammentaria degli inizi e della evoluzione che in questo centro delle Marche ha avuto la lavorazione della carta. A Fabriano, in questo scorcio di secolo la corporazione dei cartai non figura tra le dodici arti che già governano il Comune e che risultano elencate in un atto pubblico del 1278. Fra queste, le due maggiori che emergono per potenza e dimensioni come organismi politico economici istituzionalizzati, ormai ascesi al potere comunale, sono quelle dei mercanti e dei lanaioli. Quella dei lanaioli può ritenersi l’Arte che dà l’avvio alla fabbricazione della carta, ipotesi avvalorata dal fatto che la corporazione dei cartai risulta ufficialmente costituita nel 1326, anche se solo nel 1283 gli atti del notaio Berretta riportano alcuni nomi di cartai fabrianesi.

Presumibilmente questi artigiani, non ancora riuniti in una loro autonoma corporazione, operavano in un settore in fase di sviluppo e di sperimentazione promosso dalla stessa arte della lana a cui, in un primo tempo, appartengono per identità di interessi e di colleganza. La specificazione “gualchiera a cincis” o più semplicemente “valchiera” diviene infatti il termine più diffuso per indicare il piccolo opificio ubicato presso gli argini del fiume Castellano (oggi Giano), e predisposto per la lavorazione della carta bambagina.

L’abilità creativa dei primi artieri favorisce rapidamente la crescita qualitativa e quantitativa della produzione e perfeziona le rudimentali tecniche di lavorazione a tal punto che nel giro di pochi decenni Fabriano diventa la culla dell’arte della carta in Europa. Sfuggono tuttavia all’indagine storica le origini di un così importante processo di sviluppo da cui ha inizio l’industria cartaria marchigiana in un centro dell’entroterra appenninico predisposto a questo genere di attività produttiva proprio perché favorito dalle fiorenti manifatture dei panni lana che, con le loro diverse fasi di lavorazione (alcune delle quali come la follatura eseguite con le “gualche” mosse da ruote ad acqua) possono aver suggerito l’impiego della pila idraulica a magli multipli per battere gli stracci, da cui si ricavava la poltiglia per la pasta da carta, eliminando così il mortaio di pietra e il pistone di legno azionato a mano usato dagli Arabi.

Per eliminare inoltre l’inconveniente del facile deterioramento dei fogli dovuto al collaggio con amido di frumento (causa principale dei divieti di impiegare la carta per atti pubblici delle cancellerie e dei notai) i fabrianesi sostituiscono alle sostanze amidacee la gelatina o colla animale, ricavata dal carniccio, scarto delle locali concerie. Altre importanti innovazioni attribuite ai fabrianesi sono il perfezionamento delle forme usate dai lavorenti e la filigranatura dei fogli che, osservati contro luce lasciano intravedere i famosi segni inizialmente usati per riprodurre il marchio dei diversi fabbricanti di carta; una necessaria distinzione del resto già praticata dai lanaioli che imprimono sui loro prodotti le “marche” di fabbricazione i cui prototipi sono depositati in appositi registri della corporazione. I segni, inizialmente assai semplici, formano le due lettere “I” e “O” dell’alfabeto, due circoli tangenti esternamente, due circoli concentrici, linee in croce terminate da circoli. A distanza di pochi anni il disegno si perfeziona e si raffina assumendo forme diverse e più eleganti, frutto della creatività dell’artigiano.

LA CARTA A MANO

Fabriano è una delle pochissime città al mondo dove ancora oggi si fabbrica carta a mano, una testimonianza della volontà di non recidere i legami con una tradizione pluricentenaria. I preziosi fogli che escono dal reparto “tini” vengono utilizzati per edizioni di pregio, disegno artistico e stampe d’arte, corrispondenza e partecipazioni, diplomi di laurea, buoni del tesoro, ecc. Le materie prime di cui ci si serve per la loro produzione sono sceltissime: cotone, canapa, lino, coloranti speciali. Molto accurata è la preparazione dell’impasto che viene effettuata per mezzo delle vecchie raffinatrici olandesi. La fase centrale della lavorazione è rimasta uguale a quella di 700 anni fa.

Il “lavorente” ripetendo gli stessi gesti dei cartai fabrianesi del XIII secolo, immerge, con la sua mano sensibilissima, la forma nel tino e ne estrae ogni volta la stessa quantità di pasta che distribuisce uniformemente su tutta la superficie della tela. La forma è il mezzo con il quale si ottiene la feltrazione delle fibre; essa è costituita da una tela metallica delimitata da un telaio “casso” o “cascio”, a guisa di cornice non fissa, ma che poggia unicamente sul perimetro della tela per consentirne la tenuta della pasta e delimitarne le dimensioni del foglio che verrà ottenuto. Poi, non appena il foglio si è formato, il lavorente passa la forma al ponitore, il quale dopo aver lasciato per un momento scolare l’acqua, adagia la forma su un feltro di lana determinando il distacco del foglio della tela.

Un foglio e un feltro sopra l’altro, si forma una pila o “posta” che viene messa sotto una pressa idraulica: avviene in questa maniera, la prima disidratazione dei fogli. Questa operazione, riducendo il contenuto di acqua a circa il 50%, permette di distaccare i fogli dai feltri e disporli, così, negli “stendaggi”, cioè appesi in grandi locali dove la circolazione dell’aria, a temperatura ambiente, ne completa l’asciugamento. Subito dopo avviene l’operazione di collatura: i fogli cioè, si immergono in un bagno di gelatina animale che rende il loro interno impermeabile agli inchiostri e assicura una lunghissima conservazione nel tempo. A questo punto la carta è pronta per l’essiccamento definitivo che ha luogo disponendola nuovamente nello stendaggio. Infine, si eseguono le operazioni di allestimento, con le quali la carta viene “rifinita” attraverso la “scelta”, ”contatura”, “pressatura”, “satinatura”, “impaccatura” e “stagionatura” a magazzino.

LA FILIGRANA

Già sul finire del 1200 gli artigiani attivi a Fabriano usavano contraddistinguere la propria produzione con marchi di filigrana. Oggi le filigrane rappresentano una importante testimonianza della perfezione raggiunta dalle cartiere fabrianesi in questo settore, in particolare per la produzione di carte valori. Punto di partenza per realizzare una filigrana ricca di effetti in chiaro-scuro è la preparazione del punzone per trasferire l’immagine a “sbalzo” sulla tela filigranatrice. È quasi certo che i primi punzoni furono approntati, nella metà del XIX secolo, scolpendo l’immagine in “positivo” sulla superficie di una tavoletta di legno duro (noce, ciliegio, bosso). Ponendo sopra il punzone così preparato la tela di bronzo, previamente “ricotta”, ed eseguendo con attenzione una “battitura” tra i due elementi con apposito martello e cuscinetto di feltro, l’immagine si riproduce sulla tela. Prendendo spunto dalla fusione delle sculture in bronzo, nella seconda metà dell’‘800 si passa alla tecnica della “cera perduta”. Essa consiste nell’incidere contro luce una lastra di cera. L’incisore asportando la cera con appositi bulini, crea piani e tratti più o meno elevati determinando così tutte le minime sfumature che compongono l’immagine.

Una volta completata la fase dell’incisione, la cera viene rivestita uniformemente di un sottile strato di materiale terroso refrattario formando la cosiddetta “tonaca”. Esposta ad una temperatura di poco superiore a quella di fusione, la cera si liquefà ed esce dall’involucro da uno o più fori praticati nella tonaca. In questa, opportunamente rinforzata, si effettua una colata di bronzo fuso che poi raffreddato costituisce il punzone per il trasferimento dell’immagine sulla tela.

È della stessa epoca la preparazione del punzone per fusione eseguita effettuando un “calco” in gesso sulla cera incisa; con esso si prepara la forma di fusione ottenendo così il primo “punzone” in bronzo. Eseguendo su questo un secondo calco in gesso ed usando lo stesso procedimento si ottiene il “contropunzone”. In questo caso, invece della battitura, la tela viene compressa tra il punzone e il contropunzone con l’impiego di una apposita pressa e l’immagine viene così trasferita su tela.

Con i primi anni del XX secolo, la tecnica della preparazione dei punzoni ha utilizzato il processo elettrochimico di galvanoplastica. Dall’originale in cera, per mezzo di un bagno galvanico, vengono ricavati un positivo e un negativo in rame che, a loro volta, servono a trasferire per pressione l’immagine sulla tela metallica. A questo punto la tela viene cucita con altre tele che fungono da supporto e da rinforzo ed è ormai pronta per l’ultima fase della lavorazione che coincide con quella della carta a mano. La Cartiera Fabriano Fedrigoni s.p.a. produce anche carte filigranate a macchina in tondo e a macchina in piano.